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BREVE STORIA DELLE COLTURE FUORI SUOLO

 

La coltura fuori suolo ha radici antiche. Gli egiziani, infatti, diversi secoli avanti Cristo, avevano già sperimentato la crescita delle piante in acqua; i giardini pensili dei

Babilonesi e le zattere galleggianti sui fiumi degli Aztechi o dei Cinesi possono essere assimilati a delle vere e proprie coltivazioni fuori suolo. Queste ultime erano costruite con canne, giunchi o bambù su cui era predisposto uno strato di terreno fertile per la coltivazione di ortaggi; il vantaggio di queste coltivazioni galleggianti era il facile trasporto fluviale dei prodotti al mercato.

Boyle (1666) fu il primo sperimentatore a tentare di far crescere le piante in acqua, seguito dall’inglese John Wooward, che nel 1699 coltivando piante in acqua con un diverso grado di purezza aveva notato che quelle poste in acqua contenente del terreno crescevano meglio di quelle mantenute in sola acqua distillata. Il merito di aver stabilito l'importanza dei sali minerali nella nutrizione della pianta va, in ogni modo, attribuito a Justus von Liebig (1803-73), ma furono due scienziati tedeschi, Sachs (1860) e Knop (1861), i veri fondatori dell’idroponica.

 

I loro studi sull'influenza degli elementi minerali sulla crescita delle piante dimostrarono che lo sviluppo normale poteva essere conseguito aggiungendo all'acqua alcuni elementi minerali e in particolare azoto, fosforo, potassio, zolfo, calcio e magnesio. Negli anni che seguirono diversi ricercatori, Tollens (1882), Shive (1915), Hoagland (1919), Arnon (1938), svilupparono nuove soluzioni nutritive, alcune di queste ancora oggi in uso.

Le prime applicazioni su scala commerciale della coltura idroponica (Deep Water Culture) furono, comunque, quelle del Prof. W.F. Gericke, fisiologo della California Agricultural Experimental Station, nel periodo tra le due guerre mondiali del secolo scorso. Il sistema nacque come mezzo alternativo alla coltivazione a terra, afflitta notoriamente, allora come adesso, dai problemi di stanchezza del terreno (Jensen, 1997). Il lavoro di Gericke, su ortaggi perlopiù, suscitò un grande interesse in tutto il mondo, grazie a diversi quotidiani e riviste che propagandarono questo nuovo sistema di coltivazione esaltandone i pregi. Le continue richieste di informazioni da parte di coltivatori e hobbisti spinsero, nel 1938, Hoagland e Arnon, professori all'Università della California, a scrivere una circolare: "The Water-Culture Method for Growing Plants without Soil". Nella circolare i due autori riportarono le informazioni necessarie per la preparazione della soluzione nutritiva, insieme, comunque, alla raccomandazione che la tecnica rimanesse nell'ambito sperimentale, ritenendola poco idonea per un’applicazione su vasta scala a causa dei costi elevati di impianto e dei possibili fenomeni di ipossia radicale.

Durante la seconda guerra mondiale, l'esercito americano utilizzò l'idroponica per la produzione di ortaggi freschi da destinare alle sue truppe presenti in Giappone. Il motivo fu essenzialmente igienico in quanto, in quel paese, si utilizzavano liquami di origine umana per la concimazione degli ortaggi e questo ne consentiva l’uso solo dopo la cottura. La tecnica suscitò la curiosità degli sperimentatori giapponesi che, negli anni seguenti perfezionarono la versione originale di Gericke e la diffusero tra gli orticoltori locali (deep recirculating culture).

 

Per ovviare ai problemi del sistema di Gericke, nella Stazione Sperimentale per l’Agricoltura del New Jersey si sviluppò il sistema della coltivazione su sabbia o ghiaia (Sand e Gravel Culture) (Shive e Robbins, 1937), iniziando così lo sviluppo delle colture fuori suolo su substrato. Le modifiche apportate, pur stimolando l’interesse commerciale e rendendo la tecnologia più affidabile, non ne incrementarono la diffusione a livello commerciale perché i costi per la realizzazione dei bancali in cemento erano molto alti. Inoltre, le soluzioni nutritive acide corrodevano velocemente i componenti in ferro e/o zincati e lisciviavano i metalli contenuti come impurità nei letti di coltura con il conseguente sviluppo di fenomeni di fitotossicità.

 

L'introduzione della plastica in agricoltura, intorno agli anni ‘60, semplificò alcun aspetti costruttivi (tubazioni, canalette ecc.), e suscitò nuovamente l'interesse degli operatori verso le colture fuori suolo. Negli anni ‘60-’70 grossi impianti idroponici furono sviluppati nei deserti della California, dell’Arizona e d’Abu Dhabi.

I ricercatori continuarono a perfezionare la coltivazione in idroponica e nel 1965 Allen Cooper, ricercatore al Glasshouse Crops Research Institute a Littlehampton in Inghilterra, ideò il sistema NFT (Nutrient Film Technique). Il sistema prevedeva una serie di canalette in pendenza in cui scorre una soluzione nutritiva, nelle quali si sviluppano le radici delle piante. L’assenza di un significativo buffer idrico e nutritivo ne hanno, comunque, limitato la diffusione su larga scala di questa tecnica.

 

In Europa i primi impianti di colture senza suolo furono realizzati nel 1963, ma è solo negli anni anni '70 che possiamo parlare di una produzione commerciale fuori suolo significativa dal punto di vista statistico. L’utilizzo di nuovi substrati di natura organica (a base di torba) e di substrati artificiali o naturali (lana di roccia, perlite, pomice, lapillo vulcanico ecc.) con caratteristiche fisiche-chimiche migliori rispetto alla sabbia o alla ghiaia ha aperto la diffusione su larga scala di queste colture.

Nel 2000 le colture senza suolo nel mondo si estendevano su circa 22.000 Ha, di cui oltre il 60% concentrati nell’Europa. I paesi del Nord-Europa presentano una percentuale significativa della loro superficie protetta già investita a colture senza suolo (20-50%), mentre nei paesi del Bacino del Mediterraneo questa percentuale

non supera il 5 %.

Per quanto riguarda l’Italia, nel 1990 esistevano meno di 50 Ha per lo più concentrati in Sardegna. Negli anni successivi si è avuta una certa diffusione delle colture senza suolo in Italia che, comunque, rimane poco utilizzata: oggi si stima che la superficie delle serre utilizzata per colture senza suolo non superi 700-800 Ha, pari a circa il 3% dell’intera superficie protetta italiana. Le tecniche più utilizzate sono quelle che prevedono l’impiego di un substrato, organico (fragola) od inerte (ortaggi e fiori recisi); una discreta diffusione ha avuto il floating system (descritto nel prossimo paragrafo) per la produzione di ortaggi da foglia. Quattro specie coprono da sole oltre il 90% della superficie totale e sono quelle in cui la coltivazione fuori suolo ha dato dei reali vantaggi: fragola (150 Ha), pomodoro (200 Ha), gerbera (80-100 Ha), rosa (180-200 Ha). Fra i substrati maggiormente utilizzati troviamo in ordine d’importanza la torba, la perlite, la lana di roccia, la pomice, il lapillo o altre rocce vulcaniche e la fibra di cocco. Sono, infine, da ricordare altri materiali legati a realtà locali come le vinacce e le alghe marine (utilizzate ad esempio in Sardegna).

 

I primi impianti italiani sono stati realizzati semplicemente trasferendo la tecnologia

olandese o danese, senza tenere in debita considerazione le differenti condizioni climatiche ed economiche in cui si trovano ad operare i nostri serricoltori. Ad esempio, in alcune aziende furono installati dei costosi impianti computerizzati chiaramente sovradimensionati rispetto alle esigenze aziendali.

 

Prevedere quanto le colture senza suolo si diffonderanno nel nostro Paese è certo difficile. Certo, non mancano elementi a favore di questa diffusione. L'ormai prossima proibizione dell'impiego del bromuro di metile e la limitazione del consumo di fitofarmaci e fertilizzanti imporranno agli agricoltori di rivedere profondamente le tecniche colturali. Le colture senza suolo, in questo senso, potrebbero giocare un ruolo importante, anche se limitatamente al settore ortoflorovivaistico (comunque, uno dei più importanti nel panorama dell’agricoltura italiana), un po’ come già sta avvenendo in altri paesi del Mediterraneo come la Spagna.

 

Ecco un po' di foto di una mega serra nella zona di Albenga che produce pomodori insalatari fuori suolo:

 

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Modificato da DjRudy
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dopo l'esaudiente descrizione di tale sistema di coltivazione da parte di dj rudy a me non rimane che esprimere alcune mie personali considerazioni. sono del parere che le coltivazioni fuori suolo vedranno nel tempo incrementare le superfici investite. le problematiche legate ai patogeni terricoli da un lato e l'impossibilità di effettuare trattamenti veramente efficaci contro di essi (diviento d'uso del bromuo di metile), il crescescente pericolo di sodicizzazione dei suoli, nelle aree irrigate con acque di scarsa qualità (salmastre), spingeranno nel tempo a investire sempre più nel fuorisuolo. le tecniche e i sistemi di gestione di tali coltivazioni un tempo rivolte ai soli imprenditori dotati di ampie conoscenza in materia, oggigiorno grazie all'impiego di sistemi computerizzati rendono possibile alla stragrande maggioranza degli operatori del settore l'approssimmarsi a tale sistema di coltivazione. attualmente la maggior parte dei piccoli e medi impianti non prevede il riciclo della soluzione, che al massimo viene usata per alimentare, a catena impianti contigui, non fertirrigati. gli impianti dotati di riciclaggio della soluzione, a causa della loro maggiore complessità si rinvengono su grandi superfici investite.

nel tempo sono stati usati provati vai substrati, tra cui, come si osserva sopra la lana di vetro; attualmente la retta tracciata è quella di usare substrati naturali sia organici come la fibra di cocco che minerali come l'agriperlite, accantonando i substrati di natura sintetico-minerale, come le schiume ureiche e la lana di vetro a causa delle annose problematiche di smaltimento che tali materiali hanno a fine carriera. oltre al tradizionale sistema dei sacchi, per alcune particolari colture e soprattutto per le colture floricole è diffuso il sistema del substrato in vaso.

uno dei pochi aspetti, oltre ovviamente la nutrizione, a cui bisogna prestare particolarmente cura è il condizionamento della serra, poichè mancando il terreno, ne viene a mancare anche la funzione mitigatriche del microclima interno all'apprestamento.

la scorsa settimana, in viaggio di istruzione in spagna ho avuto modo di poter visitare uno dei poli produttivi della più grande azienda produttrice di pomodoro da mensa di tutta europa che conta in totale più di 3.500 ettari di coltivazione in ambiente protetto. ecco alcune foto.

 

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Bene, e dopo il ctrl-c ctrl-v di dj (classica dispensa universitaria :asd::asd::asd:), queste sono alcune foto scattate in Finlandia di una serra di pomodoro da mensa.

 

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Vorrei aggiungere un paio di cose che fino ad ora non sono state dette:

 

- Importanza dell'eventuale concimazione carbonica. Nei paesi del nord, in primis Olanda è ormai un'affermata realtà da lungo tempo. In breve come ben saprete le piante durante il processo di fotosintesi assorbono CO2 per la sintesi dei carboidrati.

Dal momento che tutto l'ambiente in cui le piante crescono (vedi substrato, soluzione nutritiva, luce ecc) è artificiale e controllabile, si sfruttano i gas di scarico delle caldaie di climatizzazione della serra, per arricchire di CO2 l'atmosfera all'interno di essa.

Se da un lato abbiamo un'incremento dell'attività fotosintetica, dall'atro abbiamo una forte riduzione dell'inquinamento emesso.

 

- Non occorre farsi prendere troppo dall'entusiasmo. Non sempre il fuori suolo è adatto. Spesso se ne "abusa". Infatti occore ricordare dove è nato (Olanda = terra strappata al mare). In molti contesti mediterranei il gioco potrebbe non valere la candela.

Posso riportare come esempio il caso delle produzioni floricole. Conviene attrezzare in Italia una serra (parliamo ovviamente di serre moderne *) per produrre fiori, con tutti i costi e i risultati non sempre ottimali, quando possiamo spostarci in Kenya (ogni anno 250 ha di rose in più), dove il trasporto con catena del freddo/acqua costa via aereo, circa 2-2,5 €/Kg ?

 

 

* utile sarebbe affrontare l'argomento, ovvero cosa distingue una serra moderna da una vecchia ? E cosa cambia ai fini produttivi...

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credo a me. colgo l'occasione per postare altre foto scattate in spagna che riguardano la coltivazione fuori suolo. per quanto riguarda la concimazione carbonica, che ho tralasciato poichè la includo tra le "consuete" pratiche della serricoltura, ricordo che l'aumento di un solo punto percentuale della concentrazione di anidride carbonica all'iterno della serra (dal comunq 0,03% dell'aria allo 1,03%) , porta nelle piante tradizionali, un sostanziale aumento della produzione, mentre nelle piante a ciclo C4, più evolute delle precedenti, addirittura al raddoppio).

ecco le foto che vi avevo promesso.

 

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altro quesito (da parte di un ignorante di queste colture): come è la pressione delle malattie, insetti ecc... in questo tipo di serre?

sono minori che su cmpo aperto?

 

quali aumenti di produzione e qualità del prodotto finale si hanno rispetto al campo aperto o ad una serra tradizionale?

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come per i sistemi colturali in serra la repressione e il controllo dei patogeni deve essere molto rigoroso, ma sostanzialmente non si notano grandi differenze tra la coltivazione "tradizionale" in serra e la coltivazione fuori suolo. come è ovvio tutti possibili attacchi da parte di patogeni terricoli vengono eliminati alla base. vengono pertanto eluse le problematiche relative ai nematodi e al fusarium.

 

la qualità finale è superiore a quella del prodotto tradizionale ottenunto in serra, poichè come risaputo, aumentando il potenziale della soluzione somministrata alla pianta, aumenta la sapidità dei frutti.

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  • 4 settimane dopo...

Aggiungo alcune foto

 

Pomodoro fuori suolo su substrato inerte.

 

t4660_PanoramicaLEO.jpg t4661_NaomisxBBdxBA.jpg t4662_GrappoliDiana.jpg t4663_dripgocciolatore.JPG t4668_DSCN4791.JPG t4675_DSCN9021.JPG t4679_DSCN4817.JPG t4678_DSCN4819.JPG

 

Insalata aeroponica

 

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Particolare di pomodoro fuori suolo, dove le piante raggiungo anche i 10m di lunghezza e pertanto via via che la produzione si sposta in direzione apicale, la pianta "viene arrotolata" al suolo.

 

t4667_DSC05566.JPG

 

Floating sistem

 

t4669_f2.jpg t4671_BANCALI.JPG t4672_f3.jpg t4673_Scansione0003.jpg t4674_DSCN9036.JPG t4677_P4180003.JPG

 

 

Ringrazio j.deere86

Modificato da Mapomac
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aggiungi foto ma commentale pure

dai info .............now!!!

 

Facciamo 2 calcoli sulle produzioni del pomodoro fuori suolo. Premetto che i dati mi sono stati riferiti da chi lavora nella serra finlandese che ho indicato qualche post più su.

 

8 i mesi di produzione

Da ottobre a giugno (trapianto ad agosto, senza ciclo continuo, pertanto 2 mesi di pausa giugno-agosto)

 

12-12 m la lunghezza delle piante

 

10 i mesi di permanenza in serra delle piante

 

1,6 - 2,4 kg*m2/settimana la produzione media

 

prod.media = 2 Kg

n° settimane = 8*4 = 32 arrotondato 30

 

Prod.totale*m2 = 30*2 = 60Kg

 

Prod.totale/ha = 60*10000 = 600.000 Kg = 600 t = 6000 qli.

 

Prezzo di vendita locale = 1,65€/Kg

PLV = 600.000*1,65 = 990.000€

 

Toglieteci le spese di:

 

- piantine

- concimi

- quota di ammortamento della serra (e si parla di una struttura complessa, nel caso specifico un'investimento di circa 2 milioni di €)

- manodopera

 

Quanto rimane ?

Modificato da Mapomac
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  • 2 mesi dopo...

Aggiungo alcune foto, prese direttamente dall'esempio numerico che ho indicato nel post precedente.

 

Supporto per grappoli. Plastica di colore bianco sfruttare la radiazione solare riflessa.

 

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Riscaldamento a bassa temperatura tra le file.

 

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Binario ove scorrono appositi carrelli per facilitare le operazioni colturali.

 

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Questo è il prodotto che riescono a vendere mediamente a 2,5 €/Kg...ottimi spunti di riflessioni non trovate ?

 

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Il tubo bianco diffonde CO2, non derivante dalle caldaie ma da bombole, per concimazione carbonica.

 

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Nell'ultima foto si vedono i rocchetti di spago utilizzati per assecondare la crescita delle piante in altezza.

 

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Modificato da Mapomac
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Aggiungo anche alcune immagini di insalata. Il flusso d'acqua viene fatto scorrere nelle canaline in modo continuo, una volta a settimana viene corretta la soluzione circolante.

Le piantine prodotte in alveolo vengono poste direttamente sulle canaline con la base del cubetto di torba a contatto con l'acqua.

Il ciclo di produzione dura circa dai 30 ai 60 giorni a seconda delle specie, praticamente costante durante tutto l'anno grazie all'illuminazione artificiale.

 

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  • 3 mesi dopo...
  • 6 mesi dopo...

 

Questo è il prodotto che riesco a vendere mediamente a 2,5 €/Kg...ottimi spunti di riflessioni non trovate ?

 

t9151_7.jpg

 

 

 

 

 

 

 

 

Non ho capito se li coltivi nella serra delle foto oppure no...

Ma li mandi all'estero ? sulla scatola non c'è scritto in italiano:cheazz::cheazz::cheazz:

Modificato da Manu
errore ortografico
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  • 8 mesi dopo...
  • 6 mesi dopo...

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